- Marco Persichini
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Partiamo dai fondamentali: “C’era una volta…”
Dalla notte dei tempi gli essere umani utilizzano lo Storytelling (l’arte di narrare storie) per tramandare tradizioni, conoscenze e esperienze. Un osmosi di istinti, emozioni e credenze che hanno costruito un ponte tra il presente e il passato.
“Se dalla realtà si sfilano i fatti, tutto il resto è Storytelling”
– A. Baricco
Sulla base della definizione del Guru della Narrazione, nonché Fondatore della Scuola Holden, lo Storytelling non è solo uno strumento, ma uno stile di vita.
La Narrazione permea le nostre azioni, le loro conseguenze e il nostro destino, ciò che nella cultura indiana è il “Karma”.
“La prima volta” non si scorda mai
Il primo esempio di “arte della narrazione” di cui ho memoria, risale a 50 anni fa. Avevo sei anni, quando Zio Pacifico – di nome e di fatto – dopo una partita a briscola mi raccontò la storia di Giovanni Belforte, che con una mano sola “a 500 dette morte”. Prima di iniziare, si schiarì la voce, raddrizzò la schiena, si fece serio e con una certa impostazione cominciò più o meno così:
Marcuccio, devi sape’ che durante li tempi antichi, quanno c’era li re che comannava’, li cavalieri che se ‘mazzava’ e la gente comune che pativa la fame; le terre erano ‘nfestate da li draghi: lucertole giganti che sputava focu e c’avia’ ‘na passione pe’ le principesse – ogni tantu ne rapiva’ una e la chiudia’ dentro la torre più arda de lu castello. Anche nel regno de Cuccuruccù, la principessa Luigina era stata rapita. In re Luigi, disperatu, l’avia promessa in sposa a chi l’avesse liberata, tanti guerrieri gagliardi s’era’ presentati, ma era’ tutti morti brusciati.
Lu re avia perso ogni speranza. Su ‘na baracchetta de umili ‘levatori de pecore,viveva Giovanni, un ragazzotto non propriu cento, che un giorno, rientrato dal pascolo vide che na ricotta era diventata nera da quante mosche c’era’. Ce dette ‘na manata sopra, fece ‘na strage, ruppe lu piattu e lo formaggio schizzò dappertuttu. Tuttu contentu, se sintia ‘n eroe, disse: «Da oggi sarò Giovanni Belforte che con ‘na mano sola a cinquecento (mosche) dette morte!».
Orgoglioso, Giovanni, se recò da Sua Maestà Luigi pe’ libera’ la principessa rapita, e raccontò la sua impresa. Il re, di fronte a tanto coraggio, diede il suo benestare. Giovanni armatu de ‘na canna ‘guzza, l’indomani, se svegliò prima dell’alba, e quanno lu dragu scappò fori da la torre ancora mezzu ‘dormentatu, je ficcò la lancia de bambù tra lu collu e la testa, chiappò na vena e il drago cascò giù come ‘na pera cotta. Come ‘na saetta, volò su pe’ le scale, sfonnò la porta e vide la principessa – era bella come l’arcobaleno – si abbracciarono. Se sposarunu e fecero tanti munelli che pigliarono la bellezza e l’intelligenza de la matre e lu coraggiu e la forza de lu patre.
Morale della storia
Penso che questo racconto sia stato come un battesimo, l’origine del mio personale Storytelling Karma: la Narrazione di zio Pacifico segue lo schema in tre atti di Aristotele, la struttura del “Cynderella plot” di Kurt Vonnegut e una linea narrativa, che Andrea fontana definirebbe di trasformazione: un ingenuo campagnolo male in arnese che raggiunge l’Olimpo e diventa un principe eroe.
In fondo “Ziu Pacì” stava raccontando se stesso, la poliomielite purtroppo lo aveva reso storpio, e con quella storia diventò il mio eroe.
In alto i cuori,
Marco